venerdì 23 giugno 2017

Giorgio Caproni

Giorgio Caproni
di Filomena Baratto

Vico Equense - Giorgio Caproni ha spiazzato tutti. Pur rientrando nei programmi ministeriali delle Scuole Superiori, ci si limita a dare di lui una semplice menzione, non per la cattiva volontà degli insegnanti, ma per i tempi che sono tiranni. A volte sono i libri di testo che non approfondiscono determinati autori, a causa delle linee politiche cui si attengono, trattandoli con poche righe e facendoli passare quasi per minori. Caproni si presta a una trattazione di più ampio respiro e riportarlo alla luce è stato un bene per gli stessi maturandi. Lo stesso autore definisce il poeta come un minatore che scava fino a trovare un fondo nel proprio io che è comune a tutti gli uomini. E prima ancora di scavare, bisogna imparare anche a tenere gli attrezzi in mano. Giorgio Caproni nacque a Livorno nel 1912, ma all’età di 10 anni si trasferì a Genova e da quel momento in poi diventerà la sua amata città. “Ogni pietra di Genova è legata alla mia storia di uomo”, affermerà, e sarà per il fatto che la città lo vede crescere, amare, soffrire, cambiare. Di Genova amerà, più di ogni altra cosa, il vento, che produceva un suono forse come il suo violino che suonò fino all’età di diciotto anni e che poi spezzò con le sue mani per emozionarsi troppo durante le sue esecuzioni. Il vento gli forniva la musicalità del verso, il suono della parola, proprio come le note sul rigo musicale.
 
Fa parte di quella corrente legata alla tradizione della lirica novecentesca rimasta più esattamente unita a una linea sabiana, da Saba, come afferma L. Anceschi, con un superamento dell’ermetismo e del neorealismo. Una poesia con forme linguistiche più tradizionali e legata alla realtà, di una semplicità che trae le sue basi dalla Scuola Siciliana e Toscana, quando la parola era ancora in forma acerba e non conteneva l’esuberanza di oggi. Voler fare distinzioni nell’ ambito della poesia non sempre conviene in quanto, autori come Caproni, ma anche Bertolucci, Betocchi, Penna, mostrano ciascuno un carattere e un’individualità che li fa allontanare dai canoni della stessa corrente cui appartengono. Caproni scava nel proprio io e nello stesso linguaggio, con una leggerezza consapevole di una subitanea felicità, per poi abbandonarsi a una malinconia che incalza, e quello che fu, non c’è più. Il poeta scopre, attraverso la musicalità del verso e l’immediatezza della parola, la vita leggera e delicata. Si allontana, nell’ambito della linea sabiana, da ogni atteggiamento di tipo romantico o esigenza di tipo psicologico, a cui sostituisce un’ironia proprio per sorprendersi di quel suo prenderla sul serio. La poesia per lui è materia serissima, così seria da cadere qua e là in ironici giri di parole, con un linguaggio lontano da intellettualismi. La sua città, Genova, divenne luogo formidabile per una considerazione profonda della realtà e dell’umanità. Nel ‘39 fu a Roma e partecipò alla seconda guerra diventando un partigiano e alla fine ebbe notevoli problemi economici. Le sue raccolte, a cominciare dal 1936 con Come un’allegoria, poi Finzioni ’ del 41, Cronistoria ,‘43, mostrano una poesia curiosa e fresca, a tratti ingenua e spontanea, con una gioia apparente e una malinconia di sottofondo, ed ecco la finzione della vita. Concetto espresso soprattutto nella raccolta del 1975, Il muro della terra, dove esprime il limite della condizione umana, riportandosi al muro di Dite, quello stesso invalicabile per Dante. Questa condizione fa scappare continuamente l’uomo, che si ritrova in un viaggio eterno, unico rifugio per non restare confinati. La poesia si estende e si espande notevolmente e a volerla circoscrivere si cade in una limitazione. Il motivo per cui spesso la si mette a lato è per credere di non poterla capire in pieno. Caproni è un poeta che si fa amare per i versi chiari, di poche parole. Egli stesso ammette di dare alla parola un valore negativo. “La parola limita, la parola è una mistificazione come dice Pessoa, una simulazione della realtà, se la realtà esiste. La parola è un oggetto a sé. Voler conoscere un oggetto attraverso la parola è come conoscere un oggetto attraverso un altro oggetto. Dio ha creato l’universo, l’uomo lo ha nominato. Vi sono due universi paralleli che non collimano mai”. La poesia è un mondo incantato dove ognuno cerca un pezzo di sé. Il poeta affascina per la sua logica e linguaggio sobrio. Egli è in fuga da se stesso non riuscendosi a trovare, e non trovando Dio, per poi scoprire, subito dopo, che Dio intanto esiste in quanto è negato. E questa corsa non è altro che un cercare se stesso. Nella raccolta Il franco cacciatore del 1982 ritorna il Dio inesistente unito ad altre inesistenti possibilità come l’infanzia e il passato che, per il fatto di non essere più, è come non essere mai stato:” Il mio viaggiare/ è stato tutto un restare/qua dove non fui mai”. Caproni oppone alla distruzione del mondo moderno, la bellezza della vita pur con le sue contraddizioni al di là di ogni interferenza intellettualistica. E l’ironia lo accompagna anche nel suo ultimo viaggio: Congedo di un viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee del 1965, una lirica incantevole, dove riporta la fine del suo viaggio terreno rappresentato come un viaggiatore che deve scendere dal treno” Ora che più forte sento/ stridere il freno, vi lascio/ davvero, amici. Addio. /Di questo, sono certo: io /son giunto alla disperazione/calma, senza sgomento./ Scendo. Buon proseguimento. Caproni è un poeta attuale che ha sentito il peso della vuota modernità e pur in questo sconforto, riesce a trovare sempre un fiore nel deserto. E forse la bellezza umana è costituita proprio da questa fragilità, vista come l’esistenza in un’arsura continua.

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