lunedì 29 maggio 2017

Autismo infantile, esperti a confronto a Sorrento

di Claudia Esposito 

Sorrento - Medici, assistenti sociali, famiglie e docenti si sono confrontati a Sorrento con le problematiche dell’autismo infantile, malattia del neurosviluppo che si manifesta nei primi mesi di vita. Il convegno, dal titolo “L’autismo nella prima infanzia” è stato organizzato dal centro di riabilitazione Aias Penisola Sorrentina con il patrocinio del Comune di Sorrento e del Piano sociale di zona. Una giornata per fare il punto su una malattia dalle tante sfaccettature e varianti che determina, per i bimbi, difficoltà di relazione con il mondo circostante. “Ogni malato ha la sua malattia – chiarisce Filippo Muratori, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università di Pisa e direttore Scientifico della Fondazione Stella Maris Mediterraneo di Matera – per cui piuttosto che di “autismo” è più appropriato parlare di sindrome dello spettro autistico. L’origine va ricercata nel difficile rapporto tra fattori genetici e ambientali che determinano difficoltà a confrontarsi con il mondo percepito come estraneo e dalle regole oscure e misteriose. Dagli anni ’70 le diagnosi sono aumentate e sappiamo che questa sindrome colpisce i maschi più delle femmine e, vista l’eterogeneità dei sintomi, ogni trattamento deve essere personalizzato”.
 
Il ruolo fondamentale nel “dare l’allarme” è naturalmente giocato dai genitori: “Sono loro a notare per primi le difficoltà di interazione del figlio, segno di una crescita non adeguata del cervello – continua Muratori -. Tra i 12 e 18 mesi bisogna stare attenti ai bambini che non prestano attenzione a ciò che accade intorno, punto cardine dell’autismo, insieme al ridotto sviluppo motorio e alla ripetitività dei gesti. I genitori spesso si trovano in difficoltà nel condividere con altri le difficoltà dei propri figli, aspettano insieme ai pediatri che il tempo migliori le cose quando invece una diagnosi tempestiva, trattamenti individualizzati grazie a specialisti che conoscono bene la sindrome dello spettro autistico e l’inclusione in classi normali sono determinanti per aiutare i bambini ad affrontare il mondo esterno”. L’importanza di una diagnosi precoce è stata sottolineata anche da Juan Mila, direttore della cattedra di Psicomotricità dell’Università Statale di Montevideo e direttore del settore prima infanzia del Ministero dell’Educazione dell’Uruguay e dallo psicologo Fabio Apicella, dirigente della fondazione “Stella Maris”. “Un genitore disarmato diventa un problema clinico – spiega Apicella – per questo è fondamentale che la famiglia diventi partner dei terapisti. Spesso le diagnosi sono rallentate dal tempo atteso dai genitori, dalla disinformazione e dalla scarsa competenza dei pediatri. Solo introducendo i genitori nelle terapie si può ridurre l’impatto della patologia. I bimbi autistici non hanno bisogni speciali come spesso si dice: hanno bisogni uguali ai coetanei. Speciale e diverso deve essere invece il modo di rapportarsi con loro perché un genitore depresso per la condizione del figlio non è di aiuto a nessuno”. Oltre la famiglia, un altro operatore fondamentale è la scuola, luogo di confronto e crescita. “L’integrazione scolastica è fondamentale – aggiunge Rita Parlato, dirigente dell’istituto comprensivo “Pulcarelli – Pastena” di Sant’Agata – perché, per i bimbi autistici, vivere coi coetanei normodotati è un’occasione unica di apprendimento funzionale. Integrazione è però anche una sfida difficile che va assolutamente affrontata perché l’emarginazione non è accettabile. Diventa fondamentale quindi il “farsi speciale” della didattica davanti alle esigenze del bimbo autistico, includendo una pluralità di competenze per arrivare ad un “Pei”, il piano educativo individualizzato, che sia quanto più preciso possibile nell’individuare punti di forza e debolezza dell’alunno”. Piani personalizzati che devono essere realizzati anche dai servizi sociali, come ha ricordato Maria Elena Borrelli, coordinatrice del piano sociale di zona ambito terrotoriale 33: “Serve un approccio multidisciplinare integrato – ha concluso – con cui l’assistente sociale, grazie a colloqui sociali e visite domiciliari, possa studiare un piano di intervento che includa, a seconda dei casi, assistenza domiciliare per sollevare i care giver, frequentazione di centri diurni per potenziare le abilità tramite attività ricreative e laboratoriali, assegni di cura, o sistemazione in strutture residenziali quando l’assistenza domiciliare non basta”.

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