giovedì 23 marzo 2017

Vico in giallo. Un delitto quasi perfetto

di Filomena Baratto

Vico Equense - “Guarda, guarda, Michè, guarda là! Sullo scoglio, vedi? C’è un corpo. Michè lo vedi?” Michele cercava di dirigere lo sguardo dove diceva l’amico, ma anche aggiustandosi gli occhiali da vista, proprio non metteva a fuoco. Poi, scostando dei rami di cespuglio, finalmente vide. Era di mattino presto e in strada non si vedeva anima viva, Antonio e Michele si ritiravano dalla pesca e quel corpo riverso sullo scoglio attirò la loro attenzione. Dopo poco, denunciato quanto avevano visto, la zona fu completamente bloccata. Giunsero persone da ogni parte, attirate dai clamori dei capannelli che lentamente si costituivano sulla scena del delitto. I carabinieri bloccarono la strada all’altezza dello Scraio. Quel corpo di ragazzo ben si mimetizzava con il colore della roccia. I due pescatori, dopo aver assistito e partecipato ai primi sopralluoghi, si avviarono verso casa, stanchi per il lavoro e la commozione di quella morte. E’ il 18 novembre del 1885 e i due, strada facendo, si ponevano molte domande. Il giovane era ben vestito, biondo, dai lineamenti delicati. Poteva avere massimo 15 anni. Quello che colpì gli astanti furono le cifre di un numero sulla camicia, 57. Portava anche lo scapolare, un crocifisso e qualche scritta in francese. Oltre a questi dettagli, non si sapeva nulla. Il giorno dopo, Antonio e Michele andarono di nuovo in caserma a rilasciare la loro versione. “Potevano essere verso le 8:00, si le 8:00, venivamo a piedi da Castellammare, quando all’altezza dello Scraio mi sono affacciato a guardare il mare e ho visto il cadavere. “Avete sentito spari, voci, qualcuno?” ripetè il maresciallo, ma né Michele, né Antonio seppero dire qualcosa. “La strada era deserta, non c’era anima viva!” “Avete visto passare qualche carrozza? Qualcuno si è affacciato?” “Niente Marescià, nessuno. Solo io e Michele, a quell’ora, passavamo per lo Scraio. Il giorno dopo furono di nuovo tutti sul posto. Lo scoglio era ormai ripulito mentre il corpo era all’obitorio. Stavano lì in attesa di trovare qualche elemento. Il mare aveva già provveduto a cancellare ogni traccia. Rientrati in caserma, il maresciallo trovò un uomo che lo aspettava per parlargli.
 
Gli raccontò che un’ora prima dell’accaduto, passando di lì con la carrozza, aveva visto un signore con un ragazzo che camminavano sul bordo della strada. Un signore ben vestito e un ragazzetto accanto. Ripensandoci bene, ricordò che, al ritorno, il signore ben vestito era solo e andava verso Vico. Non c’erano che pochi indizi: un seminarista, una scritta francese sulla camicia, un numero, a cui si aggiungeva l’uomo visto a piedi, forse subito dopo la morte. Le indagini proseguirono per un bel po’ senza alcun risultato. Nessuno reclamò il corpo, in nessun istituto religioso della zona c’era un numero 57. Quello che arginò ogni tentativo di sforzo fu che non si denunciarono scomparse, né, passati in rassegna gli istituti, si seppe della scomparsa di qualche seminarista. E poi perché quella scritta francese? Il clamore sollevato portò la notizia della morte del ragazzo anche fuori zona. Ne parlarono tutti i giornali, in molti presero a cuore il caso, ma le indagini non portarono da nessuna parte. Lentamente tutto si affievolì. Antonio e Michele, ogni volta che passavano di lì, guardavano giù come per ascoltare un lamento, o se il mare avesse riportato indietro qualcosa che non doveva. Di sicuro si era trattato di un delitto e forse perfetto. Dopo 9 anni, in una bella mattina d’aprile, la signora Massè de Baudruille era affacciata a guardare giù dal bel muretto dello Scraio. A vederla da come osservava, era molto triste. Era di mattina presto, come quel giorno lontano. Lei era in compagnia di una dama e sostò lì per diverso tempo. Poi volle scendere giù. S’incamminò per un piccolo sentiero scosceso e arrivò al mare. Sedette tra gli scogli e ci rimase un bel po’. Si voltò dalla posizione assunta e si diresse su di un piccolo masso, lo sollevò e appoggiò qualcosa in fondo, poi coprì con un altro sasso e si mise a pregare. Fu in quello stesso giorno che andò a confessarsi, nella chiesa accanto all’hotel dove alloggiava. Quando il padre la ebbe in confessione, lei in francese, gli raccontò la pena che aveva per suo figlio. Chiedeva notizie del corpo, di quello che si sapeva a riguardo. Lei lo aveva saputo solo da poco tempo. Padre Nicola, ricordò l’accaduto ritornando a quel giorno e le raccontò quel lontano 18 novembre 1855. La donna, alle confidenze del padre confessore, pianse e chiese perdono per non aver avuto la forza di opporsi a quel satiro di marito che aveva ridotto il suo ragazzo a fare quella fine. Il giorno dopo andò in caserma e raccontò la sua storia con l’aiuto di una interprete. Raccontò di una violenza subita da ragazza ad opera di un giardiniere. Nacque un bambino col nome di Ippolito Enrico Menaldo che fu dato a una cucitrice di Orleans. Lei era andata in sposa al marchese decaduto, Luciano Gastone De Nayve, che nel 1871, dopo aver perso tutto, rimpinguò il suo patrimonio con la dote che gli venne dal matrimonio. De Nayve, con i suoi soldi, ebbe la possibilità di diventare Sindaco. Ebbe due figlie. Intanto Massè aveva sistemato il figlio nato fuori dal matrimonio con una cospicua dote a suo nome di 60 mila franchi. Ma secondo il marchese quella cifra era a discapito delle figlie che avrebbero perso un bel po’ di soldi. Fu allora che meditò il delitto, per disfarsi del ragazzo. Questi era rinchiuso in un seminario a Savoia, dopo che fu tolto alla cucitrice di Orleans. Fu allora che il ragazzo mostrò l’idea di farsi sacerdote, ma dopo aver visto la sua mamma, desiderio mai assopito in lui. Nel raccontare la sua storia, la signora Massè provò un tale sconforto che più di una volta dovettero sostenerla. “Il mio povero ragazzo, voleva vedermi e per questo cercò più di una volta di evadere dal seminario. Ma quel bruto lo aveva già sottratto alla cucitrice cui fu affidato, e ora, vedendo l’indole del ragazzo e che di sicuro ci avrebbe riprovato, lo ritirò dal seminario”. “Di tutto questo lei non era al corrente?” “Avevo cercato sempre di mantenere l’equilibrio familiare, ma mio figlio rappresentava la mia spina, la mia sofferenza. Gli avevo messo da parte una bella dote per sottrarlo alla sue grinfie, ma questo lo aveva reso ancora più ostinato. Diceva che il mio ragazzo toglieva quello che spettava alle figlie!” “E poi cosa ha fatto?” “Il resto lo potrà immaginare. Ha portato il mio ragazzo qui, volendo essere sicuro di poter nascondere bene quanto aveva meditato da tempo, sicuro di non essere scoperto. Poi è tornato al seminario e forse, con lauti compensi, ha fatto in modo che si desse il numero 57, appartenuto a mio figlio, ad altro ragazzo, per non indurre a credere quello che non si doveva. Non contento rivede anche la cucitrice di Orleans e la ricompensa con molte elargizioni”. “Perché il marchese ricompensa la cucitrice, signora?” “Lei sapeva della morte di mio figlio e lui voleva zittirla!” “E lei come ha saputo tutto questo?” I miei genitori, a suo tempo, diedero mandato a un’agenzia di trovare un marito per me, visto che ormai ero stata offesa e non potevo ambire ad altro matrimonio che in questo modo. Ebbene, questi non furono pagati, sono stati loro a scatenare un putiferio, andando sulle sue tracce e scoprendo quello che aveva fatto. Hanno messo in moto una macchina irrefrenabile. Ho fatto solo il dovere di madre denunciando un mostro. Ora sta dove merita. Non mi do pace di aver perso il mio bambino. Volevo conoscere il posto dove era stato condotto, per portargli dei fiori, almeno questo glielo dovevo!” La donna trascorse alcuni giorni a Vico per stare sullo scoglio dove era andato a morire Ippolito per mano del marchese. A quel posto, nella direzione dello scoglio, sotto la costa, portò un cofanetto dove pose dentro un crocifisso, lo scapolare e una foto. Secondo la tradizione mariana lo scapolare è l’unica cosa che non bisogna mai togliere, ci preserva dal male e rappresenta una forza.. Lo stesso Papa Wojtyla, in camera operatoria, dopo l’attentato, volle che non gli fosse tolto. La donna lasciò lì sotto qualcosa che ricordasse quella vita spezzata per non lasciare al freddo e all’acqua del mare suo figlio. In quel posto si levò un arbusto, tenero ma capace di tener testa al vento e questo rassicurò la donna prima di lasciare per sempre Vico Equense e tornare in Francia. Chiese a padre Nicola di pregare per lei. “A volte armiamo noi gli assassini -disse al confessore- per la nostra paura, la nostra debolezza.” Era stata lei a uccidere quel figlio, come confessò, doveva rifiutare di tenerlo lontano da lei. Antonio e Michele, passando da quelle parti, spesso scendevano giù allo scoglio richiamati come da una voce. “Michè ti ricordì? Eppure quel benedetto Marchese ha scelto un posto stupendo per la morte di questo ragazzo, almeno in questo dobbiamo ammettere che è stato un “bravo” assassino. Vuoi mettere? Poteva scegliere un luogo isolato, scordato dal Signore. Vuoi mettere lo Scraio? Che mare, che vegetazione, che panorama, che terra!!!” “ Non esistono bravi assassini e il Marchese non ha scelto la zona per il luogo ameno, solo per allontanarsi il più possibile. Poi ha visto a strada, lo scoglio…ed è stato facile!! E su quest’ossimoro possiamo dire che il delitto della Fusarella sarebbe stato quasi perfetto se fosse meno il senso di colpa da entrambe le parti: del marchese dopo quello che aveva fatto e della madre per aver inteso subito che qualcosa di brutto era accaduto al figlio.

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