martedì 21 febbraio 2012

Armi belliche: un’eredità ancora pericolosa

Oltre 13 mila proiettili e più di 430 barili inabissati nel Golfo di Napoli tra Ischia e Capri

Oltre 13mila proiettili e 438 barili contenenti iprite, un pericoloso liquido irritante, e diversi ordigni chimici contenenti iprite, lewisite (liquidi irritanti) e fosgene (gas asfissiante) nel meraviglioso golfo di Napoli. Un piccolo cimitero in fondo al mar , silenzioso e letale, prodotto dall’industria bellica italiana dagli anni ‘20 fino alla seconda guerra mondiale e coperti per anni dal Segreto di Stato, continuano a rilasciare pericolose sostante tossiche che da più di ottant’anni causano gravi danni all’ecosistema della Regione e alla salute delle popolazioni locali. La denuncia arriva da Legambiente, insieme al Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche in un dossier Armi chimiche: Un’eredità ancora pericolosa”. Per quanto riguarda il Golfo di Napoli, la presenza di queste sostanze è testimoniata da documenti militari americani segreti, di cui sono noti alcuni stralci, che indicano l’area intorno a Ischia come sito di abbandono di bombe chimiche subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Una vera e propria discarica chimica e anche il mare circostante l’isola di Capri non sembra essere esonerato dal problema. Alcuni documenti militari americani- denuncia Legambiente- i “rapporti Brankowitz”, che sono una sorta di sommari di operazioni di trasferimento e di smaltimento in mare di arsenali chimici effettuati dalle forze armate americane, parlano del Golfo di Napoli e del mare intorno all’isola di Ischia come sito interessato da queste operazioni.


Questi atti vennero resi pubblici durante la presidenza Clinton, in un’ottica di trasparenza complessiva: dopo l’attentato alle Torri Gemelle, però, la presidenza Bush impose di nuovo il segreto. La lista si compone di 139 pagine e riguarda una mole di spostamenti fatti dalla fine del secondo conflitto mondiale al 1986. A pag. 5 si legge che dal primo al 23 aprile 1946 una quantità non specificata di bombe al fosgene è partita da “Auera” (probabilmente trattasi di Aversa, base militare americana) con destinazione “il mare”: è stata, quindi, presumibilmente affondata al largo della costa campana. Ci sono altri due documenti che trattano dell’effettivo inabissamento di arsenali chimici. In un incartamento di 51 pagine del 30 gennaio 1989, sempre redatto a cura di Brankowitz (“Sommario di alcuni scarichi di armi chimiche in mare effettuati dagli Stati Uniti”), si legge che tra il 21 ottobre ed il 5 novembre, e tra il primo ed il 15 dicembre 1945, nel “Mar Mediterraneo, isola d’Ischia”, sono state affondate quantità non specificate di bombe contenenti fosgene, cloruro di cianuro (“cyanogen chloride”) e cianuro idrato (“hydrogen cyanide”). “Quello che emerge- denuncia Michele Buonomo, presidente Legambiente Campania- è dunque un quadro complesso, dove è in gioco la salute di tutti: dell’ecosistema e dell’ambiente. I conflitti bellici hanno lasciato una pesante eredità che deve essere affrontata seriamente attraverso l’impegno di tutti senza nascondere o coprire più nulla. Per questo è necessario che le istituzioni competenti si attivino per trovare i mezzi e le risorse economiche per compiere un attento monitoraggio dei fondali e dare il via alle eventuali azioni di risanamento. Il Golfo di Napoli, in quel periodo, viene utilizzato normalmente come discarica chimica. In data imprecisata, si legge ancora nel rapporto del 2001, 13mila proiettili di mortaio carichi di iprite e 438 barili, sempre di iprite, vengono affondati “nell’area di Napoli”. L’area in questione è inscritta in un immaginario triangolo che ha per vertice Bagnoli; si è proceduto a tracciare due rotte limite: una tangente alle isole di Procida ed Ischia, e l’altra vicinissima all’isolotto di Nisida. Verosimilmente le chiatte e le navi usate per la discarica degli arsenali si sono inoltrate in mare aperto all’interno di questo cono largo, dal lato di Bagnoli, circa 42-47 gradi. è più probabile che gli arsenali giacciano tra i 200 ed i 400 metri di profondità. Nella peggiore delle ipotesi, comunque, l’area da scandagliare si estende per 287 chilometri quadrati, pari a 155 miglia nautiche quadrate: una zona molto vasta, indubbiamente, ma non impossibile da esaminare con le moderne tecnologie di ricerca. Anche il mare circostante l’isola di Capri non sembra essere esonerato dal problema. Da documenti dell’Archivio di Stato e Archivio Storico Comunale di Capri si fa infatti riferimento al minamento del golfo di Capri e specificamente della Bocca Piccola (stretto tra Capri e Punta Campanella di Sorrento) per evitare lo sbarco degli alleati durante il secondo conflitto mondiale, alla baia di Napoli. Molto probabilmente, inoltre, dati gli altissimi fondali nella parte sud dell'isola (la scarpata tirrenica parte dopo circa 300 metri dai faraglioni di Capri) si verificavano scarichi di bombe dopo i raid sulla città di Napoli.

Nessun commento: