giovedì 24 giugno 2010

«Troppi operai sotto scacco per l’usura»

Ma ai cancelli c’è chi difende ancora il no

Abbassa la voce, si guarda attorno: «Operai della Fiat che stanno sotto usura? Sì, ce ne sono tanti». Quanti? «Da noi, qualche decina: vengono a chiederci aiuto. Tre famiglie su dieci, tra chi lavora in Fiat o nell’indotto, sono in mano a usurai o a finanziarie strane». Le tre di pomeriggio, tavolini del bar Martone, appena dietro viale Alfa Romeo, quartiere popolare mussoliniano, mille passi dalla fabbrica dove i «sì» all’accordo tra azienda e sindacati hanno vinto ma i tanti «no» ne hanno forse vanificato l’effetto. Salvatore Cantone è uno con la schiena dritta. Piccolo imprenditore, un tempo terzista Fiat: «All’80 per cento lavoravo per loro, adesso ho metà personale in mobilità». Il clan Panico gli chiese il pizzo: disse no, gli bruciarono un capannone. Lui allora fece denuncia, adesso guida l’associazione anti-racket di Pomigliano: «All’inizio avevo paura, adesso mi è passata, ai miei figli voglio lasciare la dignità. L’usura è una piaga pure peggiore del racket, se la fabbrica chiude tanti sono rovinati. Alla Fiat farei un appello: rimani nel Sud, non lasciarci soli». Da queste parti, in provincia di Napoli, in 15 anni sono stati sciolti 65 consigli comunali per camorra. Cancelli Operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano: ha votato il 95%. A Pomigliano toccò nel 1993, ora i clan dei territori vicini premono, in paese non c’è un boss egemone. «È persino una situazione più pericolosa», dicono vecchi sbirri di lungo corso: «Può mettersi male, chi lo sa». cassa integrazione troppo protratta sta però al centro del piazzale e dei campi appena qua fuori: è la «Giambattista Vico», la fabbrica dove in queste ore si misurano gli effetti di quel 36 per cento di «no», tante schede che sembrano adesso senza padre né madre. Eppure quel voto ha qualche ragione, qualche spiegazione. Lei esce alle due dai cancelli, tranquilla perché non ha nulla da nascondere. Nome? «Maria Capasso, 33 anni». Reparto? «Montaggio della 159». Solo quelli che hanno votato “sì” danno nome e cognome ai giornalisti… «Io veramente ho votato no». Pentita? «Neanche per sogno, ritengo dignitosa la libertà di votare». Giovanni Sgambati, leader della Uilm, identifica due grandi flussi non ideologici nel no: i ragazzi che ancora vivono coi genitori e pensano di farsi bastare il sussidio di disoccupazione, e le donne, per mera sopravvivenza. Maria annuisce sotto la frangetta scura che la fa sembrare più giovane dei suoi anni: «Sì, credo anch’io che molte operaie come me hanno votato no, difficile conciliare la fabbrica coi bambini e i mariti, anche se i delegati ci promettevano riguardo». Sposata? «Grazie a Dio, non ancora!», è la straordinaria risposta: «E sai perché dico così? Perché se hai bambini come li fai più i turni di notte e di pomeriggio? Ma non è questo che mi spaventa, sono le condizioni anomale che non mi vanno bene». Maria viene da Giugliano, leva di assunzioni 2001, niente sindacato. «Non mi fido di questa gente», dice. (da il Corriere della Sera)

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